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DOLORE E PASSIONE, GRISAGLIA BLU SBARCA A ROMA

Il monologo che dipinge il dramma della vedova Antonietta Gavone scritto da Sergio Velitti e interpretato da Maria Pia Iannuzzi per la regia di Nello Pepe sarà di scena questa sera a Roma a Spazio Arte Teatro

Antonietta Gavone, vedova Cairano una donna di 35 anni: quando festa e si lava e si pettina bella, prosperosa. Fa venire delle idee agli uomini, ed essa stessa se ne compiace. Se ne compiaciuta chissà quante volte se in cinque anni dal matrimonio ha dato a suo marito quattro figli, aggiungendo ai suddetti figli tre fratelli nei restanti sette anni di vedovanza che seguirono e precedettero il giorno in cui Tre altri figli dicevamo, di cui due morti all’atto del parto. I due morti erano, nel caso, gemelli. La disgrazia si potrebbe spiegare tenendo presente che i due gemelli vennero alla luce, e al buio contemporaneamente, un venerdì 17 e che l’ostetrico di turno alla maternità dell’Ospedale dei Pellegrini aveva il sintomatico nome di Buonaventura. Di quella sfortuna di allora Antonietta Gavone conserva ancora le tracce nel viso, precisamente all’angolo della bocca: una riga sottile, nemmeno una ruga, una smorfia. Ma sembra una cicatrice. Quando non si pettina e non si lava Antonietta Covone ha l’età dei dolori che la affliggono, se fame sta rattrappita, se sonno, stanchezza, le si arrossano gli occhi come a una centenaria. Le condizioni di spirito e di stomaco agiscono su di lei in modo palese, tangibilissimo, il suo aspetto ne rimane sconvolto e deformato. Figuriamoci adesso. Si discute al Tribunale di Napoli, seconda Sezione, Presidente Federico Innominato, Cancelliere Giuseppe Schirà, una causa contro di lei promossa dallo Stato per avere ella avvelenato mediante veleno per i topi i suoi cinque figli.

Il fatto ebbe luogo un pomeriggio di domenica, esattamente il 14 agosto 1952. La Cairano, nonché Antonietta Gavone, risulta alla perizia psichiatrica sanissima di mente, onde scartata da parte della difesa la possibilità di reclamare per la sua protetta e imputata lo stato di infermità mentale, pur considerando possibili le attenuanti generiche (ma quali? Avvelenare cinque figli: che scherziamo?), e risultando inoltre la predetta tutt’altro che incensurata avendo essa anni prima insultato e aggredito un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, si addiviene facilmente alla conclusione che la condanna a vita per la predetta signora, non esistendo in Italia la pena di morte, quanto di pi probabile le possa venir comminato. Sentiti i testimoni, ascoltate le richieste del Pubblico Ministero, udita con scettica attenzione l’arringa del chiarissimo dott. Maione, avvocato d’ufficio, il Presidente dott. Innominato prima di dare lettura della sentenza ha appena domandato alla signora Antonietta Covone, vedova Cairano, se essa ha qualcosa da dire prima che la sentenza venga dichiarata.

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