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ROSSELLA SENO, UN NUOVO ALBUM PER RACCONTARE LA POESIA DEL DOLORE

La cantattrice veneziana parla del suo nuovo album “La figlia di Dio” e “l’eterna contrapposizione tra il bene e il male” alla base dei temi sociali che ne hanno ispirato la scrittura

di Davide Iannuzzi

Pubblicato il 13 gennaio 2023 “La figlia di Dio” è uno di quegli album che non possono non scaturire da esperienze emotive e intellettuali attraversate e accarezzate da martirio e profondità d’animo fino a restituire al dolore la dignità pura della poesia. La cantattrice Rossella Seno segue il sentiero narrativo già tracciato con il precedente “Pura come una bestimmia” confermando la line up autoriale di Pino Pavone e Michele Caccamo che firmano la quasi totalità dei testi e Massimo Germini per musiche e arrangiamenti. In un travaso di sentimento cristiano e spiritualità laica la “Rossa di Venezia” dipinge un affresco epocale, fedele e struggente fatto di storia e anti storia, di irrisolti conflitti etici e messianici richiami a un presente in cerca di un redentore di anime pure che languiscono per atti di efferata violenza inflitti tanto ai diritti umani quanto all’ambiente. Denuncia e preghiera si alternano tra messaggi diretti e inequivocabili, e pacate citazioni che non fanno mai scadere il senso della metafora in mera retorica. Prodotto dalla “Azzurra Music” in collaborazione con l’Associazione Culturale “Disobedience” (fondata dalla stessa Rossella Seno), l’album ospita il cantautore inglese Allan Taylor e l’attore Alessio Boni, scelto per il suo impegno civile in cause sociali e umanitarie. Accenti folk e gustosi interludi di chitarra acustica si mescolano in un sound essenziale e cristallino. Echi di ballate dal retrogusto medievale aprono la scena al protagonismo vocale di Rossella Seno, nella sua calda naturale e vellutata interpretazione come la scuola cantautorale di De Andrè e Gaber insegna. Come può la figlia di Dio appena svezzata sopravvivere tra le soffocanti spine del mainstream moderno? Proviamo a scoprirlo direttamente con la protagonista.

“La figlia di Dio” sembra porre il sigillo su uno stile cantautorale impegnato e riconoscibile; dove inizia il tracciato tematico che hai finora percorso?

In verità di cantare per cantare non me ne è mai fregato niente. Ho da subito compreso quanto questo fosse più una missione che un mestiere per me: puntare il dito sulle ingiustizie e i soprusi, denunciare ogni tipo di sopraffazione. ciò che non va e che non è giusto. Scuotere coscienze e cervelli. Come nel caso di Zohra, una bimba domestica a otto anni, età in cui si gioca e si va a scuola, torturata e uccisa per aver liberato due pappagallini. O di DJ Fabo, e qui tocchiamo il tasto importante del diritto alla morte quando la vita non ti permette più di viverla dignitosamente e ti costringe in un letto senza possibilità alcuna di movimento e parola. O di un altro personaggio di una canzone di cui non si fa il nome, costretta a prostituirsi in un bordello nei campi di concentramento con l’inganno di una libertà promessa e che non sarebbe mai avvenuta. Porsi domande. Andare oltre il pensiero unico, imposto.

Da “Pura come una bestemmia ” a “La figlia di Dio”, due titoli distanti come sacro e profano eppure accomunati da un senso etico inconfutabile. In cosa consiste la soluzione di continuità di questi due lavori?

Negli argomenti trattati. L’eterna contrapposizione tra il bene e il male, tra l’essere e l’avere, con un unico Dio a quanto pare da venerare: il Dio Denaro.
E anche nel fatto che mi sono rivolta agli stessi autori, con una new entry, quella di Allan Taylor.

Viviamo un tempo in cui profanazione del sentimento religioso e fanatismo dello stesso viaggiano di pari passo, come descriveresti l’essenza spirituale di Rossella Seno prima che questa si tramuti in esigenza di espressione artistica?

L’estrema sensibilità, sentire dentro tutto il dolore del mondo, insostenibile a tratti. Malessere e rabbia per l’impotenza. Utopia, ma che meraviglia se l’uomo amasse il suo simile e rispettasse gli altri esseri viventi e l’universo intero! Se si riuscisse a sconfiggere questo smisurato “IO” e ci si riconoscesse in un unico “NOI” con un corale abbracci! Questa società ha creato modelli di ingannevole felicità che esortiscono l’effetto contrario e ci rende degli automi frustrati, arrabbiati, infelici.

In che misura coesistono sentimento cristiano e spirito laico in questo lavoro?

Con quello che accade credo sia inevitabile mettere in discussione la figura di un Dio buono, vien da pensare piuttosto che sia un demone a gestire la Terra e i suoi abitanti. Ma dovremmo anche imparare ad assumerci la nostra responsabilità, a rimboccarci le maniche,a sporcarci le mani. A volte anche farci gli affari degli altri, se questo è necessario, ed intervenire, invece che girarci dall’altra parte, convinti che la cosa non ci riguardi.

Che ruolo ha la musica nell’infaticabile ricerca da parte dell’uomo di risposte convincenti sui temi della sofferenza individuale, della guerra, del degrado ambientale e delle aspettative circa il futuro?

Nel mio caso fondamentale. Ma non tralascerei le altre forme d’arte.

Come sei arrivata ad ottenere il Patrocinio della Comunità San Benedetto al Porto a Genova?

Parlando con le persone che la gestiscono. Don Gallo è una figura importante, fondamentale: il prete degli ultimi, degli sconfitti, dei disadattati. Quello che dovrebbe essere la chiesa, aperta e non giudicante.

Un disco che suggerisce un ascolto attento e immersivo facilitato da un sottile feeling umano che cattura le emozioni fin dalle prime note. Qual’é stata la sfida maggiore nella creazione di un concept album in un momento storico in cui l’industria discografica mira al consumo veloce e spesso disattento?

Fregarsene e andare per la propria strada. Certo ho avuto la fortuna di avere l’Azzurra che ha investito su questo progetto, ancor prima di ascoltare le canzoni, semplicemente basandosi sul percorso artistico mio e di Massimo Germini, autore di otto brani, arrangiatore e coordinatore di questo e del precedente album. Siamo musicalmente legati da parecchi anni, ci accomuna uno stesso mood. Una parola vorrei spenderla anche su Alberto Menenti, supervisore del progetto, persona con la quale mi trovo in totale sintonia artistica e che stimo moltissimo. E su Disobedience, che ha co-prodotto il disco.

Il disco si apre con il recitato di Alessandro Boni, fin da subito si percepisce la necessità di un ascolto che contempli la predisposizione al teatro…

Concept album o opera teatrale.. Alessio perché oltre ad essere un grande attore è conosciuto per il suo impegno su vari fronti sociali, collaborando e prestando la sua immagine. Un altro che ci mette la faccia e si sporca le mani, insomma, le persone che piacciono a me e di cui c’è così bisogno!

C’è spazio anche per il Folk con la bellissima ballata dal sapore irlandese in “Cantami”; come è nato il feat di Allan Taylor?

Per caso. Mi venne indicato da un giornalista che conobbi durante un’intervista in promozione di “Pura come una bestemmia”. Massimo, questo il suo nome, era convinto che Allan fosse un autore perfetto per me, e che avrei ben interpretato , essendo nelle mie corde, la sua “The dove”.
Lo contattai, gli feci ascoltare l’album precedente, gli pacque, non esitò a darmi il permesso di interpretarla in italiano ma non si limitò a questo, scrisse per me “Cantami”, e mi onorò addirittura della presenza della sua voce nel brano. Le traduzioni di entrambi i testi sono state affidate a Federico Sirianni.

“La figlia di Dio” conferma il sodalizio vincente con Michele Caccamo, Massimo Germini e Pino Pavone: puoi descriverci la sinergia che si è creata tra voi?

Dopo Pura come una bestemmia non potevo che rivolgermi a Massimo, Caccamo ha una scrittura singolare, che mi piace molto, Pavone è un caro amico, il mio confidente. Si capisce dal testo di “Prima che il gallo canti”. Pare conoscermi più di quanto mi conosca io. Ma non dimentichiamo Matteo Passante e ovviamente Federico Sirianni. Suo il testo del brano che dà il titolo all’album. Pavone, Caccamo, Passante, Taylor, Sirianni…modi diversi di scrivere ma che inchiodano, puntano dritto al cuore e colpiscono.

Questo spirito di gruppo coincide anche con un interesse comune per i linguaggi musicali legati alla tradizione classica e popolare, così come per l’impiego di strumenti acustici?

Direi di sì. Amiamo la canzone d’autore, quella che fa riferimento ai grandi cantautori di un tempo, con un occhio ed orecchio nel presente per quanto riguarda i contenuti. Una sorta di “Torniamo avanti”

Cosa intravedi all’orizzonte del cantautorato italiano?

Mmmmmmmm… la parola “cantautore” ha preso un altro significato. Lontano da quello che ancora gli diamo noi. Strizza sempre più l’occhietto al mainstream e alle logiche del mercato. Ma in giro ce n’è di gente che frequenta ancora quel cantautorato là, dai tempi lenti e dai contenuti importanti.

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