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LUCIA FILACI, LA FANTASIA CHE DA VOCE AL JAZZ

La compositrice e jazz vocalist che ha da poco pubblicato il suo primo album è già una delle giovani e più acclamate realtà del jazz italiano

Photo by Stefano Giorgi

di Davide Iannuzzi

Il recente lancio del suo primo album intitolato“A tu per tu” rafforza ulteriormente la percezione e la portata di un talento artistico prorompente che non è certamente sfuggito a chi ha potuto vederla e ascoltarla nella dimensione live. Un impasto di vocalità poliedrica e dimensione autorale, originale e fantasiosa a cui si aggiunge il senso del tributo al firmamento più prestigioso, oltre i canoni della celebrazione più scontata completano il quadro di un progetto discografico leggero e ambizioso, contemporaneo e tradizionale, inclusivo per un pubblico più esteso ed eterogeneo. Ispirata iniziamente dal canto lirico Lucia Fiilaci ha poi saggiato i percorsi più variegati del jazz formulando uno stile personale in cui il blues, lo swing e il latin sono solo il punto di partenza di percorsi moderni pregni di insospettabili punti di svolta. Abbiamo incontrato Lucia Filaci per parlare di tutto questo quanto di jazz e dintorni.

Lucia, il tuo approdo al jazz avviene attraverso un percorso iniziato con la lirica, quale ritieni essere l’elemento comune di questi due mondi così filosoficamente distanti?

Questi due mondi musicali sono e saranno filosoficamente distanti solo se si penserà che lo siano. In realtà è il linguaggio musicale stesso, che negli anni, attraverso la storia, la cultura, la terra di appartenenza e tanti vari fattori, ha sentito un’esigenza naturale e spontanea di modificarsi, ampliarsi e trovare nuove forme di scrittura. La musica jazz, non è distante dal linguaggio classico, ma anzi lo amplifica, lo analizza e cerca di entrarci in profonda empatia. La cultura classica è ciò che eravamo e saremo, e il jazz un arricchimento fondamentale per ampliare le nostre conoscenze, le nostre percezioni da musicisti e per entrare in contatto con vari stadi di sperimentazione musicale, così come anche la musica contemporanea. Questo l’avevano intuito anche i grandi maestri dell’900 musicale, che nel mio piccolo, ascoltando e studiando, posso dire che queste intuinzioni “di non confine” fra linguaggi e stili, erano già nella mente di Giacomo Puccini, nel suo ultimo periodo compositivo, o di Claude Debussy o Leonard Bernestein e tanti altri compositori, che pensando ad un linguaggio moderno e innovativo, hanno teso l’orecchio a chi stava sperimentando, sezionando e lasciandosi andare nei diversi e nuovi linguaggi musicali oltre oceano.

Oltre alla tua osmotica attività artistica, sia in studio che live, da sempre segui un intenso percorso didattico come vocal coach; in che modo queste due realtà si alimentano reciprocamente?

Insegnare è per me un esperienza fondamentale, che mi ha arricchito e fatto crescere. Ricorre il tema “A tu per tu” nel senso che insegnare significa vedere nell’altro errori che noi stessi commettiamo e provarli a risolverli. l’insegnamento è uno specchio per noi stessi e un aiuto per chi si ha davanti. Insegnare significa mettersi in discussione ma soprattuto saper ascoltare. L’insegnamento per me è un momento di studio, di intensa applicazione tecnica, di scoperta dell’altro, ma sopratutto per me un momento di crescita come artista e persona. L’empatia come nella musica, è necessaria nell’insegnamento. Senza mai varcare il confine fra individuo e allievo, dare spunti e intuizioni per migliorare sia in aula, sia sul palco. Tutto questo mi aiuta a vedere con distanza anche il mio percorso, sia di studio che di lavoro, riuscendo così a focalizzare meglio gli obbiettivi tecnici per me e per i miei allievi.

Parliamo del tuo nuovo album intitolato “A tu per tu”, un titolo concettuale che ispira il senso di un confronto; qual’è il reale significato?

A tu per tu, è stato ed è importante perchè rappresenta il momento di mia crescita, musicale e personale, nel quale ho provato a fare qualcosa di molto difficile per tutti… accettare se stessi. Così come sono “senza avere compromessi, sempre veri, sempre gli stessi” Cit. (dal mio inedito Siamo il Jazz). Per chi ha ascoltato e ascolterà attentamente le parole dei brani contenuti in “A tu per tu” troverà tanto di me. Il percorso musicale è appena iniziato, ma sono felice di averlo fatto con un album di inediti, faccia a faccia con me stessa (appunto A tu per tu) che mettesse in risalto una mia caratteristica personale alla quale sono molto legata, la sincerità.

Una track list molto inclusiva, oltre ai tuoi pezzi originali c’è spazio per alcuni classici reinterpretati, dal tradizionale stile big band di Duke Ellington con “Serenade to Sweden” al più moderno bebop Charlie Parker con “Donna Lee”, torna ancora il tema della contrapposizione e del confronto…

Si, tutti i brani del disco, sono per me molto rappresentativi e scelti con attenzione per valorizzare al meglio le mie caratteristiche, vocali, musicali e interpretative. Il brano di Duke Ellington è una vera perla di rara bellezza, che spero di aver interpretato come meritava una scrittura così elegante, intellettuale e delicata. Il brano invece Donna lee, è stato molto divertente e rappresentativo, una punto di incontro fra me e il virtuoso sassofonista Vittorio Cuculo, una sfida per la mia voce, dove energia, precisione e concentrazione hanno avuto maggiore in questa scrittura.

A proposito di scelte inclusive spiccano nel disco nomi della tradizione italian jazz più consolidata come Gegè Munari, Andrea Beneventano, Dario Rosciglione e Stefano Di Battista; che tipo di mood avevi in mente per l’ascolto di questo disco quando hai scelto i musicisti che ti avrebbero accompagnata?

Volevo un disco bellissimo e di alto livello e con questi musicisti, non potevo fare scelta migliore. Oltre a loro, che voglio ringraziare di cuore per aver aderito a questo progetto e per aver saputo dare forme alle mie idee valorizzandole, ringrazio Vittorio Cuculo, Fabrizio Aiello, Emanuele Urso, Antonello Paliotti, Tommaso Romeo e per le note di copertina Joy Garrison, Susanna Stivali e Nicky Nicolai. E la casa discografica Wow Records di Felice Tazzini e Francesco Pierotti.

Vorrei tornare sul tema della didattica per chiederti cosa vedi attraverso gli occhi di insegnante oltre l’orizzonte generazionale del jazz…

Vedo tanti nuovi talenti, giovani musicisti, tanti progetti nuovi e belli. Speriamo che dopo questo drammatico e disastroso momento di fermo, post Covid, si possa tornare a riprendere con maggior energia e altre opportunità per i giovani.

Sotto quali aspetti ritieni che il jazz si stia evolvendo, e in quali altri ritieni che debba ancora rinnovarsi?

Il jazz per sua natura è un linguaggio in continua evoluzione. Credo la rivoluzione più interessante sarebbe quella di estendere questo genere ad altri luoghi di divulgazione, oltre che ai bellissimi jazz club e i festival, sarebbe interessante avere innanzitutto una Radio Jazz Italiana, sentirlo in televisione, dando uno spazio a questo genere, proposto magari nelle trasmissioni o considerato addirittura, ma improbabile, nei talent. Il mio sogno è che venga sempre più spesso portato anche nei teatri, con magari una stagione riservata a questo genere, perché in teatro ritengo che l’ascolto sia più attento e meno dispersivo.

Ti abbiamo vista e sentita spesso sul palco omaggiare le tue origini partenopee attraverso riletture molto originali di alcuni classici della canzone napoletana, salutiamoci con un inno al made in Italy; quanto è importante il recupero della cultura territoriale nel tentativo dare nuova linfa vitale al jazz per renderlo sempre più italiano e sempre meno italiota?

L’importante è portare sul palco ciò che si è. Le nostre radici e la nostra tradizione è ciò che siamo, definisce noi e la nostra musica, e se questo ci completa e aggiunge valore, vale la pena portarlo anche con noi sul palco. Ognuno liberamente come sente, e se questo crede sia un arricchimento. La tradizione è anche cultura, il dialetto è patrimonio. Bisogna conoscere, studiare e sapere, far si che queste cose siano solo un arricchimento e un prezioso valore aggiunto.

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