Nei giorni della memoria torna a germinare il seme della protesta popolare. Botta e risposta tra Cina e America sul tema della violazione dei diritti umani
di Paolo Marra
Mentre il mondo assisteva alla graduale dissoluzione del blocco comunista nei paesi dell’Est Europa il 4 maggio 1989 la Piazza della Pace Celeste- Tienanmen– nel cuore di Pechino fu invasa da una folla di studenti radunatasi per protestare contro la corruzione dilagante nel paese, crescita delle diseguaglianze sociali e intolleranza del Partito Comunista Cinese nei confronti di tutto ciò potesse rappresentare una minaccia per l’ordine costituito. Nell’anno dalla caduta del muro di Berlino avvenuta pochi mesi dopo- il 9 novembre- il vento del cambiamento soffiava anche sulla Cina portando con sé istanze di libertà non più procrastinabili. Fu attuata una protesta insolita per il contesto cinese di quegli anni: lo sciopero della fame per manifestare l’insoddisfazione latente di una nuova generazione di studenti ed intellettuali al fine di marcare la distanza tra le condizioni della società civile e l’apertura al mercato libero. Un mese dopo dei 100 mila manifestanti accampati a presiedere Piazza Tienanmen ne erano rimasti poche migliaia. Dopo l’iniziale indecisione del Governo fu ordinata la repressione della manifestazione. Il timore di una nuova Rivoluzione Culturale Maoista- che tra il 1966 e il 1969 provocò milioni di morti, mai accertati- spinse il pragmatico Deng Xiaoping, Presidente della Commissione Militare, a mobilitare le truppe. Come spesso accade quando il precipitare degli eventi non lascia altro tempo alla mediazione quello che sembrava evitabile si trasformò nell’assurdo vortice di violenze e soprusi. Nella memoria collettiva rimane l’immagine del giovane in camicia bianca, senza identità, fermo davanti alla fila di carri armati dell’Esercito di Liberazione Popolare per impedire la loro avanzata verso la Città Proibita. La foto scattata da un giornalista dell’Associated Press è diventata simbolo, contagiosamente potente, dell’eroico gesto dell’uomo di fronte all’inevitabile. Il resto è cronaca, la cronaca di un massacro perpetuato nella notte tra il 3 e il 4 giugno del 1989 ai danni di studenti, operai e civili. A 32 da quei fatti, che sconvolsero l’opinione pubblica internazionale, l’accertamento delle reali dimensioni della repressione del “regime” in termini di numeri di morti, incarcerati e dispersi è ancora coperta dal segreto di Stato.
Le celebrazioni non autorizzate in memoria delle vittime di Piazza Tienanmen dello scorso 4 giugno ad Hong Kong sono state scenario di arresti e tentativi di disperdere la folla da parte della polizia per la presenza di slogan pro-secessione dell’ex colonia britannica- annessa alla Cina nel 1997. Pronta è stata la reazione degli Stati Uniti con le dichiarazioni del segretario di Stato USA Antony Blinken che ha invitato il governo Cinese al rispetto dei diritti di “uomini liberi” e a far luce, con un resoconto dettagliato, su quanto accade in quei giorni di fine anni ‘80. La replica piccata del Segretario degli Esteri cinese è stata altrettanto ferma nell’avvertire gli Stati Uniti di non intromettersi negli affari interni della Cina e di guardarsi “allo specchio” occupandosi delle loro violazioni dei diritti umani. La dichiarazione tocca in maniera palese il nervo scoperto della violazione dei diritti degli afroamericani negli USA con la scia di soprusi da parte della polizia, processi e manifestazione in tutto il Paese di cui siamo stati testimoni nell’ultimo periodo, in particolare sotto la presidenza Trump. Ma senza dubbio quello del Governo Cinese sembra un tentativo maldestro di spostare l’attenzione sulle fratture non del tutto composte delle Democrazie Occidentali per non ammettere gli errori del passato che ancora oggi alimentano la renitenza della prima potenza economica del mondo all’apertura “democratica” verso i valori universali dei diritti umani compromessi da censura e controllo arbitrario. È indispensabile dare un volto alla storia, il volto della verità, cercando di far luce sulle atrocità perpetuate e sulle responsabilità non assunte o non ascritte al fine di mantenere in essere assetti economici egemoni ed interessi geopolitici.