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DAVID GILMOUR, RITORNO AL VINILE

“Yes, I Have Ghost”, il nuovo singolo di David Gilmour cantato e suonato con sua figlia Romany, esce in edizione limitata in vinile 7″ nel giorno dell’RSD BLACK FRIDAY

di Fabrizio Ragonese

“Sì, ho dei fantasmi” / “Non tutti sono morti / Facendo polvere dei miei sogni / Girando intorno e intorno, intorno alla mia testa.”

Niente da fare. David Gilmour proprio non ce la fa a starsene tranquillo e godersi una meritatissima pensione. Meno male, aggiungo io, perché ha ampiamente dimostrato di avere ancora molte cartucce da sparare, e quando si ferma è solo perché sta caricando il colpo. Vuol dire che c’è qualcosa che gli frulla per la testa. E quando la testa è la sua, allora potete star certi che il risultato sarà strabiliante.

A cinque anni di distanza dall’album Rattle That Lock con conseguente trionfale tour, il leggendario chitarrista dei Pink Floyd è tornato lo scorso luglio con un nuovo singolo, Yes, I Have Ghosts, e a fine mese il singolo verrà pubblicato su vinile. Già, il vinile. Quello che negli ultimi anni sembrava spacciato con l’avvento del digitale e che invece, contro tutti i pronostici, sta ritrovando una nuova giovinezza.

Per i cultori il vinile non è solo il simbolo di un’epoca, è anche il supporto per apprezzare al meglio la qualità di ogni singola sonorità, di percepire sulla pelle ogni singola vibrazione. E allora ecco che l’accostamento vinile/Pink Floyd viene quasi naturale, per una band che ha fatto della ricerca delle sonorità e dei dettagli un marchio di fabbrica, una band che ha saputo fare di ogni disco una vera e propria esperienza acustico-mentale. Anche Gilmour non poteva non portare una grossa fetta dei Pink Floyd nei suoi lavori solisti, perciò il vinile è senza dubbio l’esperienza migliore per apprezzare i suoi album, per godere fino all’ultima nota i suoi superbi assoli, riconoscibili in mezzo a mille altri.

Ma torniamo a Yes, I Have Ghosts. Si dice che le cose migliori nascono per caso, e la genesi di questo singolo lo conferma ancora una volta. Come riporta lo stesso Gilmour, «Stavo lavorando a questa canzone quando è cominciato il lockdown e ho dovuto cancellare la sessione di registrazione con i coristi ma, come si sa, non tutto il male vien per nuocere e non avrei potuto essere più felice di scoprire come la voce di Romany si fonde perfettamente con la mia e il suo modo di suonare l’arpa è stata una rivelazione». Provare per credere. Il delicato arpeggio della figlia Romany (che praticamente è Gilmour da giovane in versione donna) è celestiale, e la sua voce delicata e dolcemente femminile è il complemento perfetto alla timbrica calda e profonda del padre. È una di quelle cose che ti fa dimenticare di chiederti come sarebbe stata nella versione iniziale, perché è semplicemente perfetta così. Una superba incursione folk di sapore vagamente celtico come solo Gilmour sa fare, anche se l’influenza di Leonard Cohen è evidente.

E qui si apre un capitolo a parte. Non è infatti possibile scindere questo pezzo dal progetto letterario che lo accompagna. L’idea alla base è semplicemente geniale: sostanzialmente, si tratta della “colonna sonora” dell’ultimo romanzo della moglie Polly Samson “A Theatre for Dreamers”, pubblicato lo scorso luglio. Sì, avete capito bene: una colonna sonora per un romanzo. Prima del lockdown, infatti, la famiglia Gilmour stava per presentare “A Theatre for Dreamers” in un mini tour che avrebbe mescolato estratti del libro, poesie, Q&A, canzoni di Leonard Cohen e, appunto, sezioni strumentali di Yes, I Have Ghosts.

Il video del brano è infatti ambientato sull’isola greca di Hydra, proprio come il romanzo, che racconta la storia di una comunità boema espatriata nel 1960 e composta da poeti, pittori e musicisti; anche questo è un chiaro omaggio biografico all’artista canadese scomparso nel 2016, anche lui tra i personaggi del romanzo e realmente sbarcato in quel periodo sull’isola, che all’epoca era un famoso ritrovo di artisti di ogni genere, spesso in fuga da situazioni difficili. In occasione dell’uscita del libro, Gilmour, Samson e i loro figli hanno sostituito le date dello show con una sessione in streaming di domande e risposte dal vivo dalla loro casa, dove hanno suonato per la prima volta “Yes, I Have Ghosts”. Gilmour, come preannunciato, ha anche suonato molte canzoni di Leonard Cohen in queste sessioni, tra cui “Bird on a Wire”, “So Long, Marianne”, “Fingertips” e “Hey, there’s no way to say goodbye”. Ha anche cantato due canzoni da solista dell’amico e compagno di band nei Pink Floyd, Syd Barrett, a cui ha lavorato anche come produttore, “Octopus” e “Dominoes”.

A questo proposito, sono illuminanti le dichiarazioni di Polly Samson: “Volevamo esplorare le possibilità creative del formato e produrre qualcosa di nuovo, fresco e innovativo. Collaborando con David, come ho fatto molte volte negli ultimi 30 anni, scrivendo canzoni sia per Pink Floyd che per i suoi album da solista, siamo stati in grado di riunire il mondo della letteratura e della musica per migliorare l’esperienza di ascolto e connetterci con il pubblico in un modo in cui non credo sia stato fatto prima.” Non so voi, ma io proprio non me la sento di darle torto. Così a braccio, non ricordo assolutamente un progetto che arrivasse a fondere in un modo tale letteratura e musica, due mondi che, per quanto siano imparentati, sono sempre restati ben distinti e separati per definizione. Perché sono due esperienze sensoriali diverse. Perché anche quando raccontano le stesse cose lo fanno in modo diverso, per la loro stessa natura intrinseca. Perché quando pensiamo al concetto stesso di colonna sonora, lo associamo invariabilmente al cinema, e mai nessuno prima d’ora aveva osato accostarlo a un romanzo.

Perciò non resta che fare i complimenti alla famiglia Gilmour per aver messo a segno un altro colpo. In antitesi ai chiassosi e copincollati tormentoni estivi (dei quali ho già scritto cosa penso nei miei precedenti articoli), Yes, I Have Ghosts ci offre una cartolina estiva rilassata, intima ed introspettiva, su un’isola assolata, ancora incontaminata dal delirio del turismo di massa e con un Gilmour svagato e perfettamente a suo agio nei suoi 74 anni. La sua classe e la sua eleganza artistica sono ancora perfettamente intatte, perché gelosamente conservate nel tempo, facendosi strada a forza tra epoche, stili, tendenze e chi più ne ha più ne metta. Finché ci sarà ancora gente come lui a regalare scorci (è proprio il caso di dirlo) audiovisivi come questo, possiamo stare tranquilli. Se poi tutto questo viene anche trasportato su vinile, allora mi domando cos’altro si può chiedere a uno come lui.

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