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TROPPA PASTA PER EMILIANO OTTAVIANI, MA IRONIA E MUSICA NON FANNO INGRASSARE

L’artista romano recentemente sul set cinematografico con Emma Marrone racconta l’ispirazione del suo nuovo singolo che traccia i contorni di un realismo popolare sempre più riconoscibile

di Davide Iannuzzi

Dal cantautorato al Teatro fino a percorrere i sentieri del Cinema nel recente “Il ritorno” di Stefano Chiantini sul set con Emma Marrone Emiliano Ottaviani continua a maturare il suo istrionico talento in una forma espressiva costantemente orientata, tanto al recupero di tradizioni quanto a nuove aperture alle contaminazioni di genere. Figlio di un sentimento popolare di autoctona romanità l’artista continua a dimostrarsi acuto osservatore e narratore di un’Italia che sa accomunare i singoli regionalismi in una forma identitaria unica e di caratterizzante riconoscibilità umana. È’ quanto dimostra il testo del suo più recente singolo intitolato “Troppa pasta”, disponibile già da alcune settimane su tutte le piattaforme digitale e in rotazione radiofonica. Uno spaccato ironico di popolare identità fatta di eccessi, contraddizioni, vizi e virtù. Partiamo proprio da qui con Emiliano Ottaviani per poi tracciare i contorni di un profilo artistico che assieme a molti altri va a costituire quel patrimonio genetico in cui non ci si può non specchiare.

“Troppa pasta”, un testo divertente e originale ma anche di denuncia verso la cultura del consumismo e degli eccessi. Cosa ti ha portato a intuire che questa metafora potesse veicolare un messaggio socialmente impattante?

In tutto il mio repertorio e soprattutto nei brani più “orecchiabili” e “leggeri”, sono sempre presenti metafore di quei contenuti che intendo comunicare con più urgenza. Ho sempre amato il contrasto tra una melodia semplice, allegra, “fischiettabile” ed un testo pregno di significati.

“Troppa pasta” è esattamente questo. Dietro quattro accordi e momenti di fusione tra più generi musicali, mi permetto di cantare che “il troppo stroppia”, l’inutilità dell’eccesso di tutta quella “pasta” che non sfama più, che non si gusta più ma “resta”, avanza e spesso si butta.

La cultura popolare ha spesso affrancato la pasta a un Paese che di questo alimento ne va orgoglioso e ne diviene ambasciatore nel mondo a prova di regionalismo gastronomico. Pensi che sia arrivato il momento di invertire questo trend?

Che l’Italia, da Nord a Sud, sia portatrice sana di gusto e bellezza è cosa più che ovvia e la pasta non ha bisogno di presentazioni.

Gli stereotipi purtroppo esisteranno sempre e l’etichetta di “italiano spaghetti e mandolino” è dura a morire. La voglia di semplificazione è sempre dietro l’angolo. Il punto è la sostanza, ovvero la storia, il lavoro, lo studio che c’è dietro un prodotto unico al mondo. Tuttavia, al tempo stesso, sarebbe anche ora di andare oltre. Oltre i preconcetti, i nazionalismi, i regionalismi, i campanilismi non solo “culinari”.

Tu sei romano. Verso quale aspetto di questa città ti piace lanciare lo sguardo artistico?

Per me Roma resta sempre una grandissima fonte d’ispirazione. Quell’apparente immobilità della “città eterna” cela un dinamismo esasperato. Tutto scorre anche quando tutto sembra immobile. Come ho già detto, artisticamente non posso fare a meno dei contrasti, e Roma è contrasto per eccellenza.

Proietti, Petrolini, Rascel c’è tra questi e altri ancora un antesignano da cui in qualche misura trai ispirazione?

Hai nominato tre mostri. Tutto nasce da Petrolini. Attraverso libri e vecchi dischi conobbi Ettore Petrolini e ne rimasi folgorato. Amavo quella capacità di giocare con le parole, di nascondere dietro rime, lazzi ed una rapida emissione vocale concetti apparentemente superficiali. Tuttavia, come molti della mia generazione, è stato senza dubbio Gigi Proietti ad influenzarmi. Non a caso si può dire che Proietti sublimò il repertorio petroliniano rendendolo fruibile e sempre attuale alle generazioni successive. Oltre all’immenso talento interpretativo, Proietti è riuscito nell’impresa ancora unica a rendere, senza retorica, popolare il teatro cosiddetto “colto” ed al tempo stesso affrancare il teatro cosiddetto “popolare” da una condizione di inferiorità.

Nel cinema hai lavorato ne “Il ritorno”, l’ultimo film di Stefano Chiantini. Come è stato lavorare accanto ad Emma Marrone.

Emma è una grandissima professionista. Ha affrontato un personaggio decisamente complesso mettendo tutta se stessa e senza sconti. Ne esce un film che è un bel pugno nello stomaco. Sul set abbiamo lavorato sodo. Avevamo una scena cruda, difficile. Sono molto soddisfatto del risultato finale.

Tornando al singolo “Troppa pasta” sin da un primo ascolto non sfugge il fraseggio pianistico di Gerardo Del Monte e l’ossatura ritmica di Giuseppe Di Pasqua al basso e Sergio Mazzini alla batteria tipicamente jazz come elementi sonori tra i più caratterizzanti del brano. Intellettualizzare la canzone popolare, livellare il jazz a una maggior fruibilità di massa oppure semplice e riuscito esercizio di stile, quale la giusta chiave di lettura?

Se “Troppa pasta” si ascolta con piacere la ragione è un po’ la fusione di tutto questo.

Un cantautore deve sempre circondarsi di musicisti di ottimo livello. L’arrangiamento è fondamentale. E’ un po’ come il montaggio di uno spettacolo. Hai un buon testo, dei bravi attori, ma se il regista gli attori li fai solo muovere sul palco, senza intenzioni, senza una costruzione di senso e significati, lo spettacolo non gira, non arriva.

Al singolo seguirà la pubblicazione di un album e una serie di spettacoli live, puoi darci qualche anticipazione?

Attualmente sono molto impegnato a teatro almeno fino a maggio. Questa estate sicuramente riprenderò i live. Nel frattempo sto già pensando ad un album.

Ci salutiamo con un tuo pensiero circa il mondo della distribuzione e delle piattaforme digitali; dove è diretto il mercato discografico del prossimo futuro?

Se ne è parlato, se ne parla e se ne continuerà a parlare tanto. Negli ultimi venticinque anni è cambiato tutto. La musica è un’arte in continua, perenne e rapidissima evoluzione così come i mezzi per distribuirla ed i modi del pubblico di fruirla. Ora abbiamo le piattaforme digitali e domani? L’importante è scrivere canzoni.

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