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CUBA, IL SOGNO DEMOCRATICO E L’INFERNO DEL CAPITALISMO

La pandemia, ultima tappa di un’involuzione anti democratica e culturale che sfocia nella crisi socio-politica

di Paolo Marra

La recrudescenza della situazione sanitaria e sociale cubana risveglia interrogativi mai sopiti in un momento storico durante il quale la pandemia sta mostrando le crepe del capitalismo organizzato: viene da domandarsi se la crisi dell’ultimo baluardo comunista non aperto al libero mercato sia da ritrovare proprio nel fallimento del pensiero neoliberista accentuato dal diffondersi di un virus senza bandiera. Non è questione di spostare l’obiettivo su una vicenda che apre vecchie ferite storiche ma si tratta di osservarla da una prospettiva diversa: se a più di trent’anni della caduta del Muro di Berlino si discute ancora sulla fine del comunismo senza esserne del tutto convinti è necessario iniziare a guardare all’insuccesso del capitalismo essendone realisticamente consapevoli.

L’embargo statunitense attuato contro Cuba da sessant’anni incarna alla perfezione la crisi di visione politica del più forte votata alla conventio ad excludendum del non allineato di turno, anacronistico strumento di pressione che grava su un popolo allo stremo privato della possibilità di un cambiamento basato sull’autonomia economica e commerciale. Ed è proprio di natura economica la vera falla aperta nel sistema capitalistico, una falla lasciata aperta nel falso convincimento di poterla controllare e gestire senza togliere nulla al circolo vizioso del consumismo dei paesi industrializzati, mentre le regioni più povere del mondo affogano in destabilizzanti crisi umanitarie e politiche. Ma adesso che la crisi economica e occupazionale incalza le democrazie occidentali viene da chiedersi se queste non poggino prima di tutto sui diritti politici, sociali e civili garantiti ad ogni individuo quanto sul diritto irrinunciabile al consumo in barba a qualsiasi visione a lungo termine riguardante salute ed ambiente pregiudicanti le scelte future di figli e nipoti di una generazione irresponsabile.

La sconfitta del capitalismo è da ritrovare nell’avere saputo creare una percezione falsata della realtà, un eterno presentismo nel quale nonostante il susseguirsi di catastrofi finanziarie, ambientali, fino a giungere a quella pandemica, tutto deve cambiare per rimanere immutabile eliminando di fatto lo slancio collettivo verso il rinnovamento globale Lo stesso vaccino diventa in tale stato di cose un bene di consumo precluso ad aree geografiche dell’America Latina, Africa e Asia riducendolo a mero mezzo per cercare di salvare le economie già in crisi pre-pandemia e non come rimedio alla salute pubblica di un mondo la cui interdipendenza può mostrarsi fatale senza un piano concertante.

Nel caso di Cuba la situazione si rovescia assumendo tratti paradossali: una piccola isola caraibica produce più di un vaccino, invia medici specializzati della Brigata Sanitaria Henry Reeve in Piemonte, ad inizio pandemia nel 2020, ma non è dotata delle più elementari attrezzature sanitarie tra cui siringhe per inoculare il vaccino alla popolazione a causa dell’embargo americano. Da qui il passo è breve verso il collasso sociale con la seguente reazione repressiva da parte di un regime intrappolato tra il passato castrista e un sistema democratico a stelle e strisce in deficit di coerenza con gli annunciati principi universali.

Foto Twitter

Fratture sociali che nei paesi industrializzati assumono forme diverse ma con risultati altrettanto preoccupanti accentuate da multinazionali senza scrupoli pronte a creare disoccupazione in territori con carenze strutturali e amministrative endemiche al solo scopo di mettere i conti a posto e massimizzare i profitti delocalizzando la produzione in paesi fiscalmente più vantaggiosi. Un modus operandi in netto contrasto con la ricorsa affannata alla ripresa economica e massima occupazione tanto sbandierata dalle forze politiche negli ultimi mesi che rischia di favorire l’interesse individuale di poche corporation a discapito di quelle influenze solidaristiche dal basso indispensabili alla ricerca di un omogeneità economica, sociale e sanitaria globale.

Ritorna a bussare alla porta l’urgenza di far divenire la pandemia un’opportunità per cambiare la visione d’insieme dando seguito all’idea di “modernizzazione” nella quali tutte le regioni del mondo possano avere le stesse opportunità di crescita economica, sociale e civile accompagnate dalla graduale democratizzazione politica. Insomma un circolo virtuoso nel quale politica estera ed economica dei paesi più avanzati possano dare risposte alternative al predominio di storture ideologiche da guerra fredda. L’alternativa al fallimento del capitalismo non può e non deve essere il regresso profondo ma piuttosto l’approccio organico a una nuova fase di costruzione per il progresso.

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