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CINEMA SOCIALE? PIU’ SINCERO IL NOIR, PAROLA DI CAMPANELLA

In una panoramica a tutto campo il regista Pierfrancesco Campanella racconta quasi quattro decenni di attività

di Davide Iannuzzi

Continua a imperversare nei festival dello short movie “L’idea malvagia”, l’ultimo sguardo che Pierfrancesco Campanella lancia sul mondo delle difformità e dei disagi psichici, in un travaso di letali trasgressioni e istinti omicidi che tutti noi incontriamo nell’iperrealismo dell’attualità. Interpretato dalla bella e brava Elisabetta Pellini il recentissimo cortometraggio, già titolato da premi e consensi della critica, rilancia il cliché del dimenticato giallo all’italiana, tradizione che visse il suo massimo splendore negli anni settanta con i lavori di Argento, assieme a quelli Lucio Fulci, Sergio Martino e Umberto Lenzi. Tutt’altro che mero tentativo di riesumazione l’idea malvagia si sta ponendo come atto di legittimità alle opere di genere inesorabilmente tese alla cavalcata verso l’oblio. Campanella si è sempre distinto come provocatore anticonformista che osa privilegiare l’intrigo alla gratuita spettacolarizzazione. Creatore di controluce sulla scabrosità alleggerita delle ombre della retorica perbenista e raccontata come cronaca del tempo il regista ci accompagna nel suo Cinema di genere che non ammette mezzi termini, percorso iniziato come attore sotto quella lontana direzione di Cesare Zavattini nei primissimi anni ottanta e con un auspicio condiviso ad ampio raggio; scorgere un nuovo orizzonte oltre i titoli di coda.

M.F. Sei reduce dal successo al Festival dei Castelli Romani con “L’idea
malvagia”. Come nasce questa storia?

Devi sapere che da ragazzo scrivevo soggetti e sceneggiature per fumetti e fotoromanzi. Tra le tante storie rimaste in un cassetto, c’era anche lo spunto base che poi ho ripreso recentemente proprio per L’idea malvagia. Io non butto niente e sono specializzato nel riciclare racconti di molti anni prima, attualizzandoli.

M.F Sfatiamo subito un pensiero comune che vede il cortometraggio in un ruolo inferiore al film. E’ davvero da considerarsi un surrogato di un lungometraggio, un’opera meno impegnativa e propedeutica, quella del cinema breve?

Oggi il cortometraggio sta vivendo una stagione d’oro. Vedo in giro opere curatissime, quasi a livello di un film vero. Del resto, in tempi di crisi, gli short movie servono da trampolino di lancio per le nuove leve che non hanno troppe occasioni di farsi apprezzare in chiave professionale. Oppure ai veterani come me danno l’opportunità di tenersi in allenamento, sperimentando nuovi collaboratori con qualcuno dei quali rinnovare il sodalizio in occasione di un prossimo lungo.

M.F. In gran parte dei tuoi lavori si nota questo bisogno di esplorare il lato più oscuro e sinistro della mente umana, appunto “l’idea malvagia”. Dove può trovare legittimità etica una poetica narrativa cosi pregna di tali contenuti in un mondo costernato da violenza e insensibilità generale?

È vero, in ogni mia opera c’è il tentativo di studio della parte nascosta di ognuno di noi, che spesso rimuoviamo perché il nostro subconscio la ritiene inaccettabile. L’importante, nel rappresentare queste problematiche delicate sul grande schermo, è farlo con la giusta distanza, in modo critico, senza compiacimenti. D’altra parte, se certe realtà esistono, è giusto parlarne.

con Elisabetta Pellini sul set de “L’idea malvagia”

M.F. Per te il Cinema deve assolvere soprattutto un ruolo di intrattenimento oppure di tipo educativo e di orientamento pedagogico per i più giovani?

La missione principale è soprattutto l’intrattenimento, anche se si possono lanciare messaggi importanti anche attraverso film dichiaratamente commerciali. Non sopporto invece le furbate di chi tratta in modo didascalico argomenti sociali o di stretta attualità (eutanasia, femminicidio, abusi sui minori, immigrazione, eccetera) in forma ricattatoria, per strappare facili consensi.

M.F. Quanto ritieni che sia stato importante per te aver avuto trascorsi da attore?

Essere stato dallaltra parte della barricata mi aiuta a comprendere meglio le esigenze dei miei interpreti e questo mi sembra un punto a favore. Non a caso con gli attori in genere ho un rapporto molto buono, per lo meno sul set. Nella vita privata molto meno perché sono quasi tutti infrequentabili: troppo fragili, insicuri, nevrotici, egocentrici, spesso addirittura tristi.

M.F. Parliamo del tuo debutto come attore in quel lontano 1982 in “La veritaaà” di Cesare Zavattini. Che impronta ha lasciato in te lavorare con un intellettuale di Cinema e Letteratura come lui?

Un bellissimo ricordo, anche perché, prima del periodo delle riprese abbiamo provato e riprovato tutti insieme a tavolino per settimane e settimane, proprio come si fa in teatro. Lui era una persona straordinaria, con una grande carica umana ed era dotato di una ironia sopraffina. Averlo conosciuto lo considero un privilegio che mi ha regalato la vita.

M.F. Il tuo debutto alla regia è stato alquanto insolito nel 1986 con Cattivi Pierrot, distribuito l’anno successivo con il titolo La Trasgressione e con uno stravolgimento del montaggio. Cosa prevalse in te, l’idea di un film finalmente distribuito o quella di un’opera dolorosamente stravolta per esigenze commerciali?

Sai, per me arrivare nelle sale col primo film prodotto e realizzato era una occasione troppo importante e non me la sono fatta scappare. Ero giovanissimo e indipendente, puoi immaginare l’emozione di entrare da subito nel circuito ufficiale. Certo, col senno di poi, un po mi è dispiaciuto dover stravolgere una storia nata in un certo modo e poi in parte cambiata. Alla fine il risultato era un prodotto ibrido e un autore di questa situazione ovviamente ne soffre. Ma tutto sommato va bene così, perché quel film è stato vendutissimo all’estero ed è tuttoggi in circolazione, nei nuovi mezzi di fruizione, in quasi tutto il mondo, soprattutto nei Paesi Asiatici e addirittura negli USA.

Campanella premiato al Festival dei Castelli Romani

M.F. Sono seguiti due opere tra il thriller e noir come Bugie rosse e Cattive inclinazioni, tema comune il serial killer. Possiamo ritenerlo un cliché che ti ha poi accompagnato fino “L’idea malvagia”?

In realtà la figura del serial-killer di stampo classico c’è solo nel primo titolo, il cui soggetto mi è stato ispirato da un fatto realmente accaduto. Nel secondo ho voluto scardinare il meccanismo del giallo tradizionale tanto è vero che non cè un solo assassino, ma una catena di personaggi che ammazzano per desiderio di emulazione o per mitomania, in una sorta di passaggio di testimone dall’uno all’altro. In Cattive inclinazioni il vero colpevole è la televisione che, con i suoi programmi che enfatizzano la cronaca nera per motivi di share, innesca pericolosi meccanismi imitativi. Lidea malvagia è invece un affettuoso omaggio al cinema di genere che ormai in Italia non si fa più e che fino agli anni ottanta ha costituito l’ossatura portante degli incassi nel mercato cinematografico. Con molta umiltà ci sono citazioni dei vari Lucio Fulci, Umberto Lenzi, Sergio Martino, Fernando Di Leo, grandi maestri che riuscivano a fare piccoli capolavori a fronte di budget molto limitati.

M.F. Nella tua carriera c’è anche spazio per la commedia: “Strepitosamente flop”, terminava un po’ il tempo delle commedie corali di certo decadentismo che qualcuno battezzò “B movie”. Quale era in quel film la base di rilancio del genere?

Per la verità quando quella pellicola uscì nelle sale, il filone delle commedie giovanilistiche era in fase di esaurimento. Io ho provato a innestare su quel genere un po di satira sociale e tanta ironia di tipo agro-dolce, anche un po’ graffiante, ma forse mi ero spinto un po troppo avanti e non venni capito. Di recente Strepitosamente flop è uscito per la prima volta in dvd dopo tanti anni dalla sua realizzazione e in questa occasione ha ricevuto recensioni assai più positive, in quanto le tematiche trattate sono molto più attuali ora che allora. Incredibilmente oggi viene considerato un film di culto.

M.F. Hai diretto una serie molto rappresentativa di attrici come Alida Valli, Dalila di Lazzaro, Elisabetta Cavallotti, Donatella Rettore e altre più giovani. C’è un profilo di donna che ritieni perfetto per i tuoi personaggi?

In genere amo le cosiddette donne crude. Se ci fai caso nei miei lavori i personaggi appartenenti al sesso debole sono quasi sempre negativi o comunque a tinte forti. Adoro la perfidia, la malvagità, lambiguità e luniverso femminile quel mondo, secondo me, lo rappresenta meglio. Nella mia vita ho conosciuto donne davvero cattivissime che però esercitavano su di me un fascino incredibile. Luomo in questo è meno raffinato, più lineare, mentre la donna è più subdola e quindi più stimolante.

M.F. Dove accompagneranno il Cinema l’effetto globalizzante e le logiche di massima condivisione delle piattaforme virtuali?

Nel baratro. E siamo già sulla buona strada!

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