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CLAUDIO GABIS: QUANDO IL BLUES SI TINGE DI BUENOS AIRES

Incontro con il guitar hero argentino che ha colorato di spagnolo il Rock Blues

di Mattia Borrelli

Buenos Aires. Due parole che all’unisono ricordano lei: un’amante con la quale non si può vivere insieme, ma neanche separati. Buenos Aires. Città insonne che ad ogni alba, riflette smarrita le sue contraddizioni nei cerchi luminosi del Río de la Plata. Buenos Aires. Rifugio passato d’immigrati, dai bagagli pieni di nostalgie, vecchie canzoni e manodopera.

La storia di questa città ha mostrato sempre un suo carattere esistenzialista; in special modo per i suoi abitanti che l’hanno ritratta, raccontata e vissuta per il mero piacere dei posteri. Ho avuto così, il privilegio d’intervistare uno dei suoi protagonisti: Claudio Gabis, chitarrista storico dei Manal. Il gruppo è stato pioniere del linguaggio Rock e Blues tra gli anni 60’ e 70’, non solo in Argentina ma in tutti i paesi ispanofoni.

Claudio, mi piacerebbe sapere quale musica ricorda dell’infanzia e come sia giunto il Blues nella sua vita.

A casa mia si sentiva molta musica. Ricordo la presenza permanente della musica classica per via di mia madre, che studiò per molti anni il piano. Naturalmente c’erano anche il Tango e il Folklore argentino, che non mancavano mai. La musica americana, invece, si ascoltava poco, salvo per via radio o televisione. Il Blues giunse più tardi, durante la mia adolescenza, quando il mio interesse per la musica popolare andava di pari passo con quello che mostravo per le ragazze. L’unico modo che avevo per avvicinarmi a loro era durante le feste. Cominciai, quindi, ad ascoltare molta musica e senza rendermene conto, cominciai ad appassionarmi a certe armonie e melodie che avevano a che fare con il Rock and Roll. Più tardi capii che quella musica proveniva dal Blues. Lo capii dopo, perché il Blues non veniva considerato un genere a tutti gli effetti; veniva difatti catalogato come sottogenere. Iniziai ad approfondire questo linguaggio quando tra la calle Florida e la plaza San Martín di Buenos Aires, riuscii a trovare nella Biblioteca “Lincoln” (antica struttura dipesa dall’ambasciata degli Stati Uniti) dei libri che tracciavano la storia del Blues e che parlavano dei suoi protagonisti. Avevano persino dei dischi che ero solito chiedere in prestito per poterli ascoltare e studiare; mi sto riferendo all’anno 1963 circa. Realizzai finalmente che tutto quello che legava Elvis Presley, Ray Charles, i Rolling Stones e i Beatles era il Blues.

Quando ci fu l’incontro con la chitarra?

Il primo strumento con il quale mi confrontai in realtà fu il piano. Cominciai all’età di sei anni a studiarlo, ma abbondonai solo dopo due mesi quando cominciarono a chiedermi d’imparare a solfeggiare. Ma come ti dicevo prima, all’inizio degli anni 60’ tornai ad interessarmi alla musica e ad un certo tipo d’immaginario che il Blues proponeva, includendo un suo carattere naturale di protesta e di denuncia. In seguito ricordo che scoprii Bob Dylan e credo che fui tra i primi ad interessarmi di lui in Argentina. Così decisi che avrei voluto suonare. Nel 1965 raccolsi un po’ di denaro e andai a comprarmi direttamente una chitarra elettrica, senza passare per lo studio di quella classica. Quella chitarra veniva da un marchio di fabbrica argentina, dal nome “Supertone”. Era una semi-acustica e assomigliava vagamente alla Gibson ES-335 che tutt’oggi continuo a suonare. Cominciai quindi ad imparare le canzoni dei Beatles e di Dylan, ma non solo. Furono per me di notevole influenza nello studio della chitarra anche i dischi antologici che chiedevo in prestito dalla biblioteca, come quelli di Big Bill Broonzy, Son House, Robert Johnson, Blind Lemon Jefferson, Jimmy Reed e Muddy Waters (per citarne alcuni).

Buenos Aires, città del tango per antonomasia, tra gli anni 60’ e 70’ vive un drastico cambio generazionale. Il Rock e il Blues si erano impadroniti della città e i Manal come anche altri gruppi, cominciavano a fare proseliti di questa nuova identità culturale. Quello che voglio chiederle è: che relazione ha avuto e continua ad avere la musica dei Manal con Buenos Aires e con il suo passato storico porteño?

Nel mio caso e per la maggior parte dei musicisti porteños di quel periodo, eravamo tutti cresciuti ascoltando il Tango. Eravamo talmente imbevuti da quella musica e dalla quella cultura che l’avevamo integrata nei nostri suoni, sentimenti e incluso nel nostro modo di pensare. In particolar modo mi riferisco al linguaggio non solo musicale, ma anche a quello parlato. Come gruppo non ci siamo mai proposti di fare Blues, Soul o Jazz; noi volevamo fare la nostra propria musica. Così abbiamo portato quei suoni che trascinavamo dalla culla nel nostro repertorio. Buenos Aires e il Tango per i Manal sono presenti in modo particolare nei testi. Se i versi di Javier Martínez (autore dei brani dei Manal) possono collegarsi in qualche modo al nostro passato storico, allora sarebbero un riferimento diretto a Enrique Santos Discépolo, il grande paroliere tanguero.

Il suo nome è strettamente legato alla pedagogia musicale. Come nasce e come si sviluppa quest’attività?

Fu un atto involontario. Quando cominciai a farmi conoscere con i Manal, molti ragazzi si avvicinarono a me chiedendomi di dargli lezioni. I primi che si avvicinarono furono i fratelli Sergio ed Eduardo Makaroff (fondatore dei Gotan Project). In breve tempo, mi resi conto che insegnare mi dava grande soddisfazione. Il grande salto di qualità, però, che mi permise di scrivere libri e dirigere la scuola più grande di Madrid di musica moderna, lo feci quando nel 1976 andai a studiare all’università di Berkeley; lì ricevetti la conoscenza necessaria per fronteggiare la pedagogia in una forma più seria. Potei quindi scrivere il libro Armonia Funcional, che secondo ho sentito dire da molti, il contenuto viene letto e non studiato; probabilmente perché il testo è riuscito nel suo tentativo di rendere fluido il suo messaggio didattico.

Da quel che riesco a capire, sono diversi anni che non vive più a Buenos Aires. Volevo chiederle, quindi, se è cambiato qualcosa nella sua identità e nel modo di percepire l’Argentina a distanza di anni.

Oramai sono più di quarantacinque anni che vivo fuori dal mio paese. In situazioni sociali, per giunta, molto diverse tra loro. Ho vissuto in Brasile, a Boston e da diversi anni vivo a Madrid. Senza dubbio sono cambiato, non sono più la stessa persona; ma le mie radici rimangono inevitabilmente sempre quelle. Nel corso di tutti questi anni comunque sono tornato spesso in Argentina, facendo concerti e tendendo vivi i miei contatti. Ma oramai è tutto diverso. Quando qualcuno se ne va via dal proprio paese, non lascia solo fisicamente un determinato luogo. Lascia un tempo e un’epoca che non tornerà più. Non a caso viviamo in una dimensione spazio-temporale. Così, quando ritorno in Argentina, ritrovo tutto uguale ma anche tutto molto diverso. Le strade sono le stesse, ma non suonano e non vivono più nello stesso modo di una volta. L’ispirazione nonostante tutto, continua a vivere lì, nella mia Buenos Aires.

Quali sono e dove li trova gli stimoli per continuare a comporre oggi giorno?

La pandemia come per tutti ha bloccato alcune mie attività. Comunque, continuo a comporre e a suonare. Gli stimoli dove li trovo? Ma dalla stessa vita. M’interessa molto quello che mi succede intorno e l’effetto che tutto ciò crea in me in qualità d’essere umano. Mi preoccupo, inoltre, di certe tematiche metafisiche e argomenti modestamente filosofici come l’incomprensibile scopo della vita, l’universo, l’ecologia e anche a dirla tutta la stupidità umana. Per quanto riguarda la musica, le mie fonti primarie sono il Blues, come punto cardine, il Jazz per via dell’improvvisazione e la libertà di linguaggio e il Tango per le mie radici. In generale comunque, mi piace ascoltare e prendere spunto da tutto.

Dopo tanti anni di carriera, mi piacerebbe sapere se tiene ancora in cuor suo un sogno nascosto.

I miei veri sogni e desideri in realtà sono comuni a tutta l’umanità: stare bene in salute e continuare a fare ciò che riesce a gratificarti. In questo momento sto lavorando ad un nuovo disco, dove voglio proporre tutto un mio percorso evolutivo. Durante la mia carriera ho registrato pochi dischi solisti, per questo voglio continuare a dimostrare quello che sono ancora capace di fare. Se vuoi chiedermi se sono contento della mia vita, io ti rispondo: Si. Avrei potuto avere più soldi, avrei potuto viaggiare di più, ma sono comunque riuscito a fare sempre di più rispetto a quello che mi aspettavo realmente di dover fare.

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