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LA PANDEMIA, IL DOMANI E LA CULTURA DEL CAMBIAMENTO

La gestione dell’incertezza e il pensiero veloce saranno le principali sfide per i giovani di oggi, quelli che formeranno la futura classe dirigente

di Paolo Marra

I cambiamenti devono essere immaginati e in parte costruiti durante crisi profonde, perché è da queste che nascono società migliori, aggrappate ad ampie visioni futuristiche, lungimiranti ed audaci, ma non certo esenti da incognite e passi falsi. La diffusione della pandemia da Covid-19 richiama ogni singolo individuo a una sfida univoca come quella affrontata, non senza errori e scontri, alla fine della Seconda Guerra mondiale. Un forte slancio collettivo scaturito da una prodromica azione convergente da parte delle Nazioni coinvolte contro la Dittatura del nazionalsocialismo, nata durante gli ultimi anni del terribile conflitto.

L’ex Presidente della Bce, Mario Draghi, nel discorso tenuto al meeting di Rimini di comunione e liberazione lo ha ricordato citando la conferenza di Bretton Woods del 1944, durante la quale 730 delegati di 44 nazioni alleate, ispirati dai progetti dell’economista americano Harry Dexter White e inglese J.M Keynes “si riunirono per la creazione del Fondo Monetario Internazionale”. L’economista italiano continua citando anche Alcide De Gasperi “che nel 1943 scriveva la sua visione della futura democrazia italiana e a tanti altri che in Italia, in Europa, nel mondo immaginavamo e preparavano il dopoguerra”.

Tra questi è doveroso aggiungere l’economista e sociologo britannico William H. Beveridge, teorico del Welfare State: il piano che porta il suo nome consisteva in un programma di protezione sociale e politica nel quale lo Stato era chiamato al dovere di garantire ai cittadini il lavoro, un reditto e le risorse necessarie per un’esistenza dignitosa, con l’inclusione di un sistema sanitario gratuito per tutti. Fu consegnato al Primo Ministro inglese Winston Churchill il 20 Novembre del ’42 ed entro vigore agli inizi del ’43 nel pieno dell’avanzata nazista nel cuore dell’Europa.

Mario Draghi al recente meeting di Rimini

Come continua Draghi nel suo intervento la “riflessione sul futuro” di uomini e leader come questi “inizio ben prima che la guerra finisse, e produsse nei suoi principi fondamentali l’ordinamento mondiale e europeo che abbiamo conosciuto”. Una lezione per i leader di oggi chiamati alla “costruzione di un quadro in cui gli obiettivi di lungo periodo sono intimamente connessi con quelli di breve periodo” con una crescita nella quale il rispetto dell’ambiente e della persona sia imprescindibile, e dove “un sistema sanitario si misuri anche nella preparazione alle catastrofi di massa”. Il ruolo primario di gestire le soluzioni prese in tempo di pandemia lo avranno le nuove generazione, con tutte le responsabilità che ne conseguono.

L’educazione in tal senso assume un ruolo di primaria importanza, come sottolinea Draghi, “nel preparare i giovani a gestire il cambiamento e l’incertezza nei loro percorsi di vita”. Scelte lungimiranti da parte dei giovani elettori già ora indispensabili al cambiamento, come auspicato dall’altra parte dell’oceano dall’ex Presidente americano Barack Obama, alla Convention dei Democratici, parlando di “una nuova splendida generazione di giovani… per migliorare ancora l’America”. Il presente ci induce come i nostri padri, ad immaginare una società non perfetta ma diversa, realizzabile attraverso provvedimenti urgenti e non procrastinabili, per arginare il dilagare di un sovranismo compiacente. La correzione degli errori passati, con tutte le conseguenze presenti, è lo snodo cruciale per salvaguardare un sistema democratico, che nonostante le implicite criticità, rimane il fondamento per un equo sviluppo economico e sociale.

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