Il nuovo singolo dell’artista “LO ZECCHINO D’HORROR” pubblicato a dicembre è un’ironica metafora che fa emergere le contraddizioni del quotidiano. Marco Carena si è concesso per alcune domande di approfondimento
“Lo Zecchino d’Horror” è il nuovo progetto discografico di Marco Carena, un artista che ha sempre fatto dell’ironia il suo strumento preferito per denunciare le contraddizioni della società.
Ispirandosi al celebre festival canoro per bambini, Carena trasforma il concetto dello Zecchino d’Oro in un’opera che gioca con i paradossi della nostra realtà, esplorando il lato più oscuro e irriverente della quotidianità.
Il disco si ispira al genere horror, non per spaventare, ma per stimolare riflessioni attraverso personaggi e storie che rappresentano i vizi e le contraddizioni umane. Con la sua inconfondibile ironia, Marco Carena ci invita a fare i conti con la nostra parte più “orribile”, quella che spesso ignoriamo o giustifichiamo.
Lo “Zecchino d’Horror” affronta temi scomodi della nostra società. Qual è, secondo te, l’orrore più grande che oggi ci troviamo a normalizzare e perché hai sentito il bisogno di parlarne?
Mi verrebbe da dire l’ignoranza ma, attualmente sempre peggio, è la cieca e ottusa convinzione dei propri valori e delle proprie idee, catalogate come verità uniche ed assolute. Sia che si parli di religione, politica, società o economia. Forse è un tentativo di difendersi da questa infodemia e non doversi mettere in discussione, anche davanti all’evidenza di certi fatti. Chi l’avrebbe detto che nel 2024 ri-saltassero fuori certe teorie come la terra piatta? Mentre invece, “I poteri forti lo sanno, ma non ce lo dicono”, in realtà la terra è cubica e le montagne ne delimitano gli angoli. Dallo spazio la vediamo tonda per un effetto di rifrazione della luce detto “effetto Rubik” e per via degli alieni che si divertono a mettere davanti agli obiettivi fotografici dei satelliti delle lenti deformanti.
Ma chi c’è dietro a tutto questo, a chi fa comodo dire che la terra è sferica: al mondo del calcio, alla lobby dei mappamondi, oppure…?
Il genere horror è spesso utilizzato per esorcizzare paure e traumi. Quali aspetti della nostra società hai voluto esorcizzare con questo album?
Come ho detto prima vedo che nella società, davanti all’evidenza di certi fatti, c’è sempre di più il timore – ormai sempre più certezza – di dover mettere in discussione sè stessi e tutto il sistema sociale, economico e di pensiero. Cosa c’è di meglio, quindi, che prendere tutto come uno scherzo, una favoletta, un innocente gioco da bambini?
Il sarcasmo è il tuo marchio di fabbrica. Hai mai temuto che, trattando temi così delicati, qualcuno potesse fraintendere il messaggio o considerarlo irrispettoso?
Sicuramente il rischio di essere fraintesi oggi è molto più probabile che negli anni ‘90 quando il grande pubblico ha iniziato a conoscermi dopo la vittoria del Festival di Sanscemo, le ospitate al Maurizio Costanzo Show e poi anche al Festival di Sanremo. All’epoca una canzone come “Io ti amo… come una bestia” , con cui vinsi Sanscemo, fu capita senza fraintendimenti e accettata per quello che era: una denuncia del maltrattamento di una donna da parte di un uomo che giustificava i suoi comportamenti e le sue violenze, fisiche e verbali, dietro un assurdo “Ma io ti amo…”. Il testo della canzone procurava per reazione una risata amara e – così mi dissero – anche delle serie riflessioni. Certo, bisogna essere predisposti a farlo. Del resto, citando la Treccani, “ironia” : dissimulare un pensiero con parole che significano il contrario di ciò che si vuole dire […] e può essere anche una constatazione dolorosa di fatti o di una situazione.
Come pensi che il tuo album possa contribuire a sensibilizzare su temi importanti, pur utilizzando l’ironia e la satira?
Diciamo che forse proprio grazie all’ironia e alla satira si riesce a bucare quel muro di assuefazione e indifferenza che può venire a crearsi riguardo a certi argomenti. All’inizio della mia carriera, nel periodo in cui ero ospite fisso dal Maurizio Costanzo, la mia canzone “Che bella estate”, che trattava di inquinamento, drammi estivi e indifferenza, era diventata una sorta di sigla di apertura della trasmissione. Ricordo che una sera, fra gli ospiti, c’erano due esponenti di un’organizzazione ambientalista che alla fine vennero a dirmi “Grazie, perché mi sa che forse farà più effetto la tua canzone di tanti nostri discorsi!”
(Che bella estate amore mio ci sei tu ci sono io… ma che c’importa dell’altra gente ci siamo noi… non c’è più niente…). Anche nello Zecchino d’Horror viene trattato il tema dell’ambiente. Visto che ci sono persone a cui piacciono la natura e gli animali ma non per ammirarli, bensì per ammazzarli, così ho creato l’inno di un corpo di “boy-scout” in cui militerebbero volentieri: gli “Scuoiattolini”.