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MAURIZIO SOLIERI: DAL ROCK DEGLI ANNI SETTANTA A VASCO, UN RIBELLE E CREATIVO PERFORMER/L’INTERVISTA

A pochi giorni dalla pubblicazione del suo terzo album solista il chitarrista di Modena racconta la sua quarantennale carriera. Ricordando Vasco Rossi e Massimo Riva una strigliata al mondo dei media elogiando “The Band” di Carlo Conti: “spero che questo format faccia rizzare le orecchie sia al pubblico più giovane che ai media”

di Davide Iannuzzi

Basterebbero gli oltre trent’anni di militanza nella band di Vasco Rossi, in tour e in studio per definire la caratura artistica di Maurizio Solieri, eppure il chitarrista modenese ha sempre riflesso una luce propria nel rock made in italy consolidando un indiscusso ruolo di caposcuola tra i principali punti di riferimento della chitarra rock più tradizionale e internazionalizzata. A pochi giorni dalla pubblicazione del suo terzo album abbiamo voluto incontrarlo per tornare a parlare di Vasco, di percorsi storici e nuove tendenze, quanto di media e riconoscibilità di contenuti autentici.

Di recente hai pubblicato il tuo singolo Tommy, parlaci di come è nata questa idea…

Il brano è nato una decina di anni fa. Un mio amico di Firenze che canta e scrive canzoni mi mandò una demo che conteneva questo ostinato di pianoforte che mi ricorsdava molto i Queen degli anni settanta. Io poi andai avanti fino a ultimare il pezzo, che per dieci anni è rimasto un semplice demo cantato con una specie di falso inglese.

Nell’autunno del 2020 sono andato in studio a Bologna e ho cominciato a registrare tutti i pezzi del nuovo album, e alla fine per questo brano, che dei Queen mi ricordava i loro pezzi più teatrali, ho detto al cantante Lorenzo Cappari che era molto allegro e aveva bisogno di un testo molto particolare. Lui si è inventato questo personaggio stravagante, e quando mi ha mandato il testo ho subito riscontrato ci stava perfettamente con la melodia, e così è nato Tommy

Il singolo anticipa l’album in prossima uscita che si intitola Resurrection, puoi parlarci di questo progetto più ampio?

L’album uscirà in cd e vinile nei primi di giugno e il titolo è preso in prestito da quello di un brano che ho scritto alcuni anni fa, rimasto prigioniero nel limbo dei provini in sosta momentanea. Ho poi fatto sviluppare il testo a Michele Luppi, grandissimo tastierista e cantante che da qualche anno fa parte dei Whitesnake, una delle più grandi hard rock band mondiali, e lui stesso lo ha poi cantato. I brani sono nati in tempi diversi e a molti di questi mancavano i testi. In studio ho rifatto tutto lasciando per alcune chitarre quelle dei demo e suonandone altre in aggiunta. Mimmo Camporeale e Gianluca Gadda hanno inciso le tastiere e io stesso ho cantato alcuni dei pezzi. Alla fine su dieci di essi nove sono cantati, di cui sei in inglese e tre in italiano, questi ultimi cantati da Lorenzo Campani. E poi c’è un ultimo pezzo che è uno strumentale acustico ispirato ai Beatles in cui c’e una chitarra a 12 corde e alcune sequenze con la slide. Sono molto soddisfatto di tutto il lavoro.

E’ il tuo terzo album solista a nome Maurizio Solieri, quand’è scattata quella molla che ti ha fatto capire che era giunto il momento di far uscire un disco a proprio nome?

Come tutti sanno ho lavorato per più di trent’anni con Vasco Rossi, poi con la Steve Rogers Band, e con altri artisti in studio, per cui volevo realizzare dischi in cui ero esattamente l’arrangiatore e il produttore, volevo veramente divertirmi a suonare e arrangiare le canzoni, interagire nel processo creativo della copertina del disco o del video. Io sono un creativo e ho voglia di fare queste cose. E’ una esigenza che non nasce dal voler fare necessariamente una carriera solista pazzesca, i miei dischi sono poi per un pubblico di un certo tipo. Ho iniziato a registrarlo poco prima del covid, per cui era anche un modo per trascorrere del tempo creando qualcosa. E il tempo che la pandemia mi ha messo a disposizione mi ha consentito di andare in studio a Bologna tutti i giorni, e questo è risultato essere un aspetto favorevole.

Cos’altro rende così tanto personale questo disco?

La batteria suonata da mio figlio Eric che ha 17 anni. A parte che nel brano Tommy, Eric suona la batteria in tutti i brani, e per me questa è stata una bellissima sorpresa, considerando che pur avendo frequentato la scuola di musica per molti anni, con me è entrato per la prima volta in uno studio di registrazione.

Possiamo affermare che i ruoli di compositore, produttore, sideman sono tutti perfettamente bilanciati

Assolutamente si!

Sei uno dei guitar hero che hanno aperto la strada negli anni ottanta a molti giovani che forse non avevano mai sentito parlare di Hendrix o dei Cream; ritieni che il rock italiano abbia un proprio marchio di fabbrica che meriti di essere valorizzato?

I tempi sono cambiati, i suoni sono cambiati, il pubblico è cambiato. Il momento d’oro del rock italiano c’é stato negli anni settanta e all’inizio degli ottanta, perché in quel tempo c’era un pubblico che non era così informato sulle cose che stavano succedendo. C’erano alcuni giornali musicali, qualche programma radiofonico e televisivo e poi la gente era più curiosa. Ora come ora non è che manchino gruppi rock giovani di valore ma i media non li passano facilmente e se non sei un vero amante e ricercatore della musica rock rimani indietro. Funzionano molto questi ragazzi che vengono dalle periferie, vere o false che siano, e fanno canzoni alternative, ma spesso sono cose molto piatte, senza veri spunti di novità. Poi ci sono quelli che si rifanno al blues, all’hard rock anni settanta tra cui gruppi di ragazzi giovanissimi. In Italia purtroppo a questo sound non viene data una mano, nonostante abbiamo visto come i Maneskin hanno trionfato a Sanremo e in seguito siano diventati una band internazionale che frequenta i palcoscenici più prestigiosi, ma nella maggior parte dei casi i media non spingono questo genere musicale. Radio e televisioni non fanno che passare musica pop e cantautorale. Negli anni settanta uno dei gruppi che amavo di più erano i New Trolls che dal punto di vista sonoro si ispiravano a gruppi rock e prog inglesi dell’epoca, però cantavano in italiano, come anche il Banco del Mutuo Soccorso, la Pfm, la Formula 3 e tanti altri.

C’è qualcuno che a livello popolare sta invece cercando di valorizzare questo patrimonio artistico?

Ho apprezzato molto questo tentativo riuscito di Carlo Conti con The Band, un talent show che promuove la cultura del talento musicale italiano. Già dalla prima puntata ho apprezzato le performance di alcuni gruppi che hanno partecipato, speriamo che questo format faccia rizzare le orecchie sia al pubblico più giovane che ai media. Il rock è un genere internazionale che ancora funziona. Perché l’Italia deve sotto questo aspetto vivere di sola memoria? C’è anche il rock attuale.

Quale è il segreto della longevità del tuo rapporto artistico con Vasco Rossi, nonostante alcune comprensibili interruzioni avute nel corso degli anni?

Ci conosciamo dagli anni settanta quando c’erano le radio libere. Io entrai in questa radio che lui fondò con altri soci e si chiamava Punto Radio, e lì si consolidò questa bella stima reciproca, che poi si estese a Massimo Riva, Gaetano Curreri e altri. Scrivevamo molte canzoni insieme, dove io mi occupavo della musica e lui dei testi. Un grande rapporto sia di amicizia che di lavoro. Si è trattato di un insieme di cose che hanno interagito.

Quanta libertà espressiva ti ha concesso Vasco in tanti anni?

Sempre tanta libertà, poi c’erano richieste particolari, come quella di ripetere fedelmente gli arrangiamenti del disco nuovo che stava per uscire. Per il resto Vasco aveva sempre voglia di cambiare, riarrangiando il pezzo in modo diverso, anche perché noi musicisti, pensava, ci saremmo divertiti di più in questo modo. E il repertorio di altissimo livello ci ha sempre permesso di suonare con tanta freschezza ed entusiasmo.

C’è un musicista nella band di Vasco verso il quale ti sei sentito più in sintonia?

Ai tempi della Steve Rogers Band mi trovavo bene con tutti, in particolare con Massimo Riva, anche perché scrivevamo insieme i pezzi. Ho suonato nel tour del 2013 e poi sono stato ospitato nel Modena Park. Beh, chiaramente cito Alberto Rocchetti che oltre a essere un grande amico è un eccellente tastierista come credo ce ne siano pochi in Italia. Con Stef Burns siamo ancora ottimi amici, ogni tanto ci sentiamo e facciamo delle serate insieme. Con il Gallo, beh, siamo fratelli. E con Matt Laug siamo stati sempre molto in sintonia, sia musicalmente che in amicizia.

Come entri nel mood quando vai in assolo e la scena è tutta per te?

Essendo un autore i miei soli sono delle melodie cantabili, e dal vivo li eseguo quasi sempre nello stesso modo. Poi ci sono brani che lasciano spazio all’improvvisazione e quindi cambio qualche nota. In pezzi che hanno arrangiamenti ben definiti eseguo più o meno le stesse linee. Molto dipende da quello che suoni, se ad esempio fai un pezzo di Hendrix allora c’è spazio per l’improvvisazione. Poi incide molto il tipo di pubblico, ma anche la situazione tecnica, come il buon funzionamento dei monitor che ti permette di sentire bene quello che stai facendo. Diciamo che meglio senti sul palco, meglio suoni.

Maurizio Solieri e Massimo Riva

Visto che hai citato la Steve Rogers Band ti va di raccontare in breve chi era Massimo Riva?

Ci siamo conosciuti nell’estate del 77 e lui aveva circa dieci anni meno di me. Era un ragazzino tredicenne che già frequentava la radio e aveva tanta voglia di fare. Abbiamo lavorato e scherzato insieme. Per tutti noi è come se fosse ancora quì.

Un ringraziamento speciale a Clarissa D’Avena

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