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C’ERA UNA VOLTA IL COMUNE SENSO DEL NORMALE

L’utopia del ritorno alla quotidianità più insofferente, il pericoloso virus endemico che ancora soffoca le consapevolezze di un atavico bisogno chiamato “cultura”

di Paolo Marra

Da più parti si auspica una fase due dell’epidemia che ci faccia ritornare lentamente alla normalità. Verrebbe da chiedersi “a quale?”, quella dell’Italia unita e del patriottismo tirato fuori al momento giusto ed esibito come giustificazione a una propaganda elettorale inarrestabile anche in tempi di epidemia.

La normalità dell’Italia delle seconde case a cui rinunciare non per senso civico e coscienza sociale ma per sfuggire al controllo di un governo troppo autoritario. La normalità del “riapriamo le librerie” che stentano a rimanere aperte in tempi di “normalità” pre epidemia, in un Paese dove leggere è un esercizio superfluo, non votato alla causa comune del consumismo e dell’appiattimento cerebrale. La normalità dell’istruzione pubblica fatto di precariato dei docenti e scuole fatiscenti, non adeguati investimenti nella cultura, artisti del mondo della musica senza tutele economiche ma ora visibili gratuitamente “in streaming” a qualsiasi ora del giorno. La normalità degli infermieri sottopagati, dimenticati e abbandonati a loro stessi, costretti a orari estenuanti di lavoro diventati in poco tempo “eroi nazionali”. La normalità delle preghiere in tv per far salire gli ascolti e delle processioni paesane in nome di Gesù per aggirare i divieti. La normalità dei processi infiniti, delle responsabilità mai assunte e mai attribuite mentre la generazione dei nostri nonni, testimone della seconda guerra mondiale, del boom economico, degli anni di piombo, della caduta del muro di Berlino, della globalizzazione e dell’avvento di internet, scompare silenziosa senza neanche un funerale azzerando la ratio della memoria storica ma alleggerendo le case degli enti previdenziali. La normalità del lavoro sommerso, dei contratti a termine e a progetto senza protezione dai grandi rischi dell’esistenza, della dicotomia tra turni di lavoro alienanti e disoccupazione cronica esacerbata dall’ingannevole impulso di non riuscire ad avere tutto quello di cui non abbiamo bisogno.

La normalità della democrazia espansionistica a stelle e strisce fatta di file fuori da negozi di armi e del giro dantesco delle fosse comuni colme di “homeles” newyorchesi sull’isola al largo del Bronx e dei ricchi chiusi nello loro residenze dorate al motto “ Make the America Great Again”.

La normalità del controllo politico-economico attuato attraverso generosi aiuti da parte di Cina, Russia e Stati Uniti all’interno dell’Unione Europea incapace di compattarsi davanti a un nemico comune ed invisibile a favore di paradisi fiscali, in nome dell’austerità imposta dalla protervia dei paesi più virtuosi a Nord della Zona Euro, lasciapassare per autoritarismi dilaganti e parlamenti silenziati. La normalità di sessant’anni di embargo a Cuba che impedisce l’arrivo nell’isola caraibica degli aiuti sanitari destinati a tutta l’America Latina, mentre i medici cubani tra i più specializzati al mondo salvano vite negli ospedali italiani nel silenzio dell’informazione. La normalità di non parlare più di immigrati e di una bambina svedese che sensibilizzava la nostra coscienza ecologica mentre continuiamo a massacrare il nostro unico pianeta e suoi delicati meccanismi la cui manipolazione stiamo pagando a caro prezzo. NO! è ora indispensabile progettare una nuova normalità che non sia deformata affinché, quando il nemico invisibile sarà finalmente alle nostre spalle, i contatti sociali non diventino scontri e questa clausura indispensabile non si traduca in una pausa temporale inutile nel lungo percorso verso la ridefinizione di un sistema sociale ed economico differenziato che abbia come obiettivo la ridistribuzione delle risorse secondo i bisogni reali di ogni individuo e non secondo i profitti di pochi nel rispetto dell’ambiente. Ciò che sembrava un’ utopia ieri, diventa necessita oggi, per ritornare a correre, abbracciarci, stringerci la mano, guardarci negli occhi, festeggiare, urlare e respirare senza aver paura di farlo, in maniera finalmente diversa ma soprattutto consapevole. Illuderci di tornare a una presunta normalità senza che nulla sia successo è un errore che come essere umani non possiamo permetterci.

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