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DODI BATTAGLIA E LE PERLE DI UNA RITROVATA EPOCA – INTERVISTA

Continua il tour teatrale “Perle – Mondi senza età” tra brani riscoperti e il ricordo di Giorgio Faletti

di Davide Iannuzzi

Mezzo secolo di militanza nei Pooh è come un’ombra protettiva che giganteggia sulla storia della musica italiana, quella scritta da una band che strizzava l’occhio altrove per assumere connotazioni internazionali per poi ritrovarsi oggi a tracciare un nuovo sentiero baciato dal sole e tutto da percorrere. Per Dodi Battaglia Il senso della metamorfosi ha un compimento rapido nel fissare il punto di continuità storica, quando riparte dal valore patrimoniale del ‘brand’ con i riflettori, questa volta puntati sulle perle rimaste nascoste nel guscio calcareo di ostriche schiuse. Il già rodato tour teatrale “Perle – Mondi senza età” sfugge al laconico senso della celebrazione e indossa i panni di una nuova modernità. Perle che infilate una dopo l’altra formano collane di brani, relegate in passato all’emisfero buio per esigenze di scaletta ora vivono la stagione del solstizio, quella di un repertorio evergreen che si lascia accarezzare e reinterpretare. Può sembrare difficile disgiungere la figura di Dodi Battaglia dal macro contesto Pooh eppure il peso specifico del musicista nato nel quartiere Mazzini di Bologna ha proporzioni titaniche, tanto da far pensare che quel lontano incontro nel 1968 con il paroliere Valerio Negrini fosse solo una delle opzioni possibili di una carriera già segnata. Premiato da un accreditato giornale tedesco nei primi anni ottanta come miglior chitarrista europeo Dodi Battaglia ha fortemente caratterizzato il respiro internazionale dei Pooh con un personale modo di scrivere, suonare e cantare. E nella ripresa del tour “Perle – Mondi senza età” Mediafrequenza non poteva resistere alla tentazione di un possibile incontro con la ‘storia’.

Cosa rappresentano per un musicista che ha scritto importantissime pagine di mezzo secolo di storia il confronto con il proprio passato e quello con le nuove leve della musica italiana?

Ogni artista “assorbe” e traspone nella propria musica quelle che sono le inquietudini, le manie, le aspirazioni della società in cui si trova a vivere. Con i Pooh ho affrontato la voglia di ribellione del periodo Beat, ho cantato l’emancipazione femminile e la nascita delle radio libere, ho prestato i miei assoli alla sensibilizzazione sul tema ecologista. Grazie alle parole di Valerio Negrini abbiamo “fotografato” la società italiana ed i cambiamenti che l’hanno caratterizzata dagli anni ’60 fino alla prima decade degli anni 2000.
La musica, in quanto emanazione dell’uomo, cambia con esso e riflette quelle che sono le paure e le aspirazioni della società. Ciclicamente chi si affaccia sul mondo della musica ambisce a discostarsi da chi lo ha preceduto cercando di creare nuove forme di espressione, nuovi modi per condividere la propria creatività e comunicare in modo efficace il proprio messaggio. Più che fare confronti, penso sia necessario rendersi disponibili ad ascoltare le nuove leve della musica italiana.

C’è un aspetto che ritiene evolutivo nel rapporto con il suo pubblico in questo tour teatrale intitolato “Perle – Mondi senza età”?

Il mio nuovo percorso solista mi ha portato a dover affrontare una serie di oneri ed onori che per più di quarant’anni ho sempre condiviso con i miei colleghi. Ora che sul palco ogni riflettore è puntato su di me, miei sono anche tutti gli applausi e l’affetto del pubblico. Questa nuova dimensione inizialmente mi ha un poco spiazzato, ma devo ammettere che ora mi ci trovo pienamente a mio agio e questo ha comportato una evoluzione positiva nelle dinamiche che si creano con il mio pubblico.

Quale è lo stimolo maggiore che deriva dal suonare un repertorio storicizzato ma con musicisti diversi dal contesto originale?

Con i miei colleghi il feeling era tale da riuscire a costituire un meccanismo affiatato e ben collaudato. Inevitabilmente le cose sono cambiate nel momento in cui ho cominciato la collaborazione con i musicisti che attualmente salgono con me sul palco. In un certo senso mi sono trovato nel ruolo di “insegnante” perché ho dovuto guidarli nell’affrontare un repertorio per loro nuovo e questo è stato per me un modo diverso dal solito di affrontare la musica.

A proposito di stimoli, uno di questi sarà stato senz’altro il portare a compimento un’idea embrionale di un testo rimasto a lungo nel cassetto. Consideri il brano “Un’anima” un tributo al tuo amico Giorgio Faletti o in esso risiede una profondità di significati maggiore?

Giorgio Faletti è stato un artista in grado di spaziare in molteplici campi: ha fatto grande la letteratura italiana nel mondo, ci ha fatto ridere con la sua ironia graffiante, riflettere con le sue canzoni ed i suoi dipinti. “Un’anima” è sì un tributo ad un grande amico, ma anche e soprattutto un progetto musicale che abbiamo portato a compimento insieme, anche se su linee temporali diverse. Ognuno di noi vi ha dedicato ispirazione, motivazione, impegno e ne è risultata una canzone dedicata a quell’amore talmente disperato e disilluso da annichilirsi. Quello del protagonista del brano è un vero e proprio grido di rabbia e dolore, perché l’amore sa essere fatto anche di questo.

Quali sono le perle che meritano di essere riscoperte sia dai fan storici dei Pooh che dai loro neofiti?

Il repertorio dei Pooh vanta più di trecentoquaranta brani. In essi Valerio Negrini e Stefano D’Orazio hanno saputo toccare temi come l’amore, la società, il rapporto tra uomo e donna, il viaggio inteso come scoperta del mondo e del proprio io, tratteggiando i molteplici aspetti dell’animo e della storia umana. È difficile fare una selezione, così come è stato difficile stilare la scaletta della tournée. Il consiglio che posso dare è di lasciarsi guidare dalla curiosità.

I Pooh in una foto del 2016 da sinistra Riccardo Fogli, Red Canzian, Roby Facchinetti, Dodi Battaglia, Stefano D’Orazio

Dovendo invitare a suonare sul palco con la sua attuale band soltanto uno tra Canzian, D’Orazio e Facchinetti, chi sceglierebbe fra questi?

Ammetto che è difficile rispondere… equivale a chiedere quale fratello si preferisce agli altri. Con ognuno di loro ho vissuto dei momenti irripetibili.

La scaletta di questo spettacolo privilegia brani rimasti esclusi da passate performance live. Quale è secondo lei il controluce dell’intero repertorio Pooh che ritiene essere sfuggito alla critica, e che questo spettacolo invece evidenzia?

La profondità dei testi. La critica ha sempre etichettato i Pooh come quelli delle canzonette d’amore, mentre il nostro percorso artistico è stato sempre volto ad una costante ricerca nel perfezionamento dell’esecuzione strumentale ed espressiva. Già con “Tanta voglia di lei”, il nostro primo grande successo da me interpretato nel 1971, affrontammo il tema allora piuttosto scabroso del tradimento. Senza dimenticare l’album “Poohlover” del 1976, dove cantammo di ex carcerati, Rom, prostitute, travestitismo… tutte quelle forme di diversità che inevitabilmente si accompagnano alla solitudine propria di chi viene percepito “diverso”. Negli anni affrontammo anche il problema dell’immigrazione e del razzismo in “Senza frontiere”, dell’oppressione operata da certi regimi in “Lettera da Berlino Est”, “Dall’altra parte”, “Città proibita”.

Molto spazio a brani di melodico intimismo come “Per una donna”, “La città degli altri”, “Lei e lei”, “Comuni desideri”, “Dialoghi” ma c’è anche spazio per timbriche più decise come la più rock prog “Danza a distanza”

Ma anche “Mai dire mai”, “Padre del fuoco, padre del tuono, padre del nulla”, “Uno straniero venuto dal tempo”. In quest’ultimo eseguo un assolo con una steel guitar della Fender, uno strumento che impiegai in diversi brani risalenti anni ’70.

Il chitarrista che maggiormente l’ha ispirata?

È difficile ridurre tutto ad un un’unico nome. La “folgorazione” per la chitarra è giunta grazie ad Hank Marvin, poi negli anni ho scoperto “pilastri” come Jimi Hendrix, John McLaughlin, Al Di Meola, Eric Clapton, David Gilmour, Brian May, George Harrison, Mark Knopfler, Neil Young, Jeff Beck, Pete Townshend, Ritchie Blackmore. Negli anni ’90 ho avuto la grande opportunità di conoscere Tommy Emmanuel, considerato a ragione il miglior chitarrista al mondo e grande esponente della tecnica fingerstyle che ho a mia volta studiato. Con lui nel 2015 ho pubblicato l’album “Dov’è andata la musica”.

Dodi Battaglia e Tommy Emmanuel

Quanto pesa oggi la dimensione live rispetto al calo vendite dei dischi?

L’aspetto live dell’attività di un artista è indispensabile in quanto il rapporto diretto con il pubblico è una esperienza inebriante ed appagante: sul palco ci si mette totalmente in gioco e si offre uno spettacolo che va oltre la sola esibizione canora. Ormai la fruizione della musica si sta spostando sempre più dal supporto fisico a quello online, cambiando anche il modo di affrontare l’ascolto: se prima coon vinili, CD e musicassette noi artisti offrivamo un ascolto per certi versi guidato dei brani perché sequenziale (si pensi ad esempio ai concept album), ora l’uso dei lettori MP3 ed i servizi di streaming permettono di “saltare” da un brano all’altro, da un artista all’altro, stravolgendo e facendo evolvere il modo in cui si ascolta la musica. Oltre a ridurre drasticamente la vendita dei supporti.

Da “Uomini soli” al prossimo Sanremo 2020 tra gossip e polemiche. Cosa si è perso e cosa c’è da salvare di questa popolare vetrina?

Forse si è persa la centralità della canzone, quella che dovrebbe essere l’unica vera protagonista della kermesse.

Ipotizzando una futura partecipazione al festival tornerebbe con i Pooh o in veste di solista?

Come solista. I Pooh hanno terminato il loro percorso il 30 dicembre del 2016 ed ora ognuno di noi sta tracciando il proprio percorso

Si ringrazia sentitamente Barbara Scardilli

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